intolleranze-alimentari

Intolleranze alimentari


ESISTE UN MODO INTELLIGENTE ED AFFIDABILE
PER VALUTARE SE UN CIBO FA MALE?



Nel documento dedicato alle “allergie e intolleranze” (vedi documento specifico) si è visto che la problematica legata alle incompatibilità alimentari sta acquistando sempre maggiore importanza, soprattutto per le sempre più gravi sofisticazioni cui i cibi sono sottoposti e per l’aumento dell’inquinamento ambientale.

Si è anche detto che questo complesso problema è oggetto di studio dell’ecologia clinica, scienza nata nei paesi anglosassoni negli anni ’40 che si occupa dei disturbi clinici causati dall’impatto sull’organismo umano delle sostanze presenti nell’ambiente: da quelle chimiche e farmacologiche (fertilizzanti, pesticidi, coloranti, additivi, conservanti) ai metalli pesanti (mercurio), dalle scorie industriali agli alimenti, dall’inquinamento atmosferico a quello elettromagnetico.

Si è parlato della storia dell’ecologia clinica e dei motivi per cui l’allergologia convenzionale (che andrebbe considerata una branca dell’ecologia clinica stessa) si rifiuta di riconoscere altri meccanismi di diagnosi se non quelli classicamente legati all’allergia, ad esempio l’aumento delle Immunoglobuline di tipo E (Ig E).

Infine si è accennato alla difficoltà diagnostica delle intolleranze alimentari e, trattandosi di un campo complesso e delicato, abbiamo ritenuto opportuno dedicargli uno spazio a parte, soprattutto nell’interesse della gente comune, ma anche per fare un po’ di chiarezza tra gli operatori del settore.

In passato, già 60-70 anni fa, la valutazione delle intolleranze alimentari si effettuava eliminando per alcuni giorni tutti gli alimenti, impostando una dieta a base di digiuno o succhi vegetali (dieta ad eliminazione). Successivamente si reintroducevano singolarmente i vari alimenti, valutando eventuali reazioni, in particolare l’aumento dei battiti cardiaci subito dopo l’assunzione del cibo.

Nei decenni successivi la medicina convenzionale e, in particolare, l’allergologia non si è dedicata alle intolleranze alimentari semplicemente perché non ha considerato il problema; in altre parole, per la medicina convenzionale possono esistere soltanto le allergie alimentari e non le intolleranze in quanto queste ultime non si possono diagnosticare. Di conseguenza, in medicina convenzionale si effettuano solo i classici test allergici sul sangue e quelli di reattività cutanea (prist, rast) che, in caso di positività, fanno fare diagnosi di “allergia”.


Il problema, però, è che tra allergie ed intolleranze esiste una netta differenza: infatti, come già detto nel documento sulle “allergie e intolleranze”, le allergie sono mediate da un meccanismo immunologico, al contrario delle intolleranze.

Si è anche accennato alla diversità dei sintomi: infatti nel caso delle allergie avremo reazioni acute (tipo dermatite, asma o persino lo shock anafilattico), dovute alla reazione del sistema immunitario, mentre i sintomi legati alle intolleranze sono molto più tardivi e soprattutto molto più sfumati (stanchezza immotivata, colite, ritenzione, gonfiore, nervosismo, ansia, depressione, insonnia, acne, ecc.).

Tutti questi fattori, soprattutto la difficoltà diagnostica, hanno fatto si che il problema delle intolleranze venisse accantonato dalla medicina convenzionale, anche se ciò rappresenta un errore, in quanto le incompatibilità alimentari sono diventate sempre più attuali per tutti i motivi citati all’inizio e non ha senso non considerarle solo perché difficili da diagnosticare. In altri termini non è che le intolleranze non esistono solo perché mancano gli strumenti per “misurarle”: come già detto, la terra era rotonda anche prima che Galilei lo dimostrasse.

Questa sorta di “chiusura” da parte della medicina convenzionale e dell’allergologia ha fatto si che il problema delle intolleranze alimentari fosse accantonato per molto tempo. Negli ultimi 2 decenni, invece, si sono fatte strada nuove tecniche diagnostiche per l’individuazione delle incompatibilità alimentari, in particolare: le metodologie bio-elettroniche (tipo EAV o Vegatest), la kinesiologia applicata basata sulle prove di forza muscolare (dria-test) e, infine, il test citotossico con il sangue (citotest).

Tali metodiche sono ritenute, però, inaffidabili dalla medicina convenzionale, perché troppo alternative e prive di basi scientifiche riproducibili.



Ma chi ha ragione, l’allergologia a pensarla in questo modo o chi, invece effettua i test di intolleranza ritenendoli scientifici e affidabili?



Noi riteniamo che nessuna delle 2 posizioni sia giusta perché da una parte è vero che tali metodiche diagnostiche non sono mai state studiate con rigore scientifico tale da dimostrare la loro affidabilità e riproducibilità, dando così ragione all’allergologia; dall’altra, però, ribadiamo che gli stessi allergologi sbagliano a non voler considerare il problema delle intolleranze alimentari solo perché è difficile diagnosticarle; del resto, nel documento sulle allergie si è visto che anche per le stesse allergie non esistono certezze diagnostiche e questo dovrebbe farli riflettere.

Detto questo, riteniamo opportuno parlare appunto delle metodiche utilizzate per la diagnosi delle intolleranze alimentari: la domanda è se sono realmente affidabili questi test.

La nostra risposta, finora senza tema di smentita (almeno fino a quando qualcuno non dimostrerà il contrario) è che i test effettuati, siano essi elettronici tipo eav o vegatest, oppure kinesiologici, oppure con il sangue, spesso non sono affidabili per vari motivi.
 


 L’INAFFIDABILITA’ DEI TEST



Innanzitutto bisogna distinguere le metodiche di diagnosi delle intolleranze alimentari in 2 gruppi, uno costituito dall’esame citotossico sul sangue definito citotest e l’altro composto da tutte quelle metodiche che utilizzano fiale-test, come le tecniche elettroniche tipo EAV o Vegatest oppure la tecnica di kinesiologia relativa alla forza muscolare o test “dria”.


CITOTEST Il citotest consiste nel porre in contatto alcuni alimenti con il sangue, in particolare i globuli bianchi, e vedere se questi si alterano nella loro struttura mentre reagiscono con qualche alimento. Chi conosce bene questo tipo di test sa che spesso può dare dei “falsi positivi”, cioè alimenti che sembrano essere non tollerati ed invece lo sono e, al contrario, dei “falsi negativi”, cioè alimenti che sembrano tollerati ed invece non lo sono.


EAV - VEGATEST - TEST KINESIOLOGICO  Sono 3 test che hanno in comune il fatto di utilizzare delle fiale-test contenenti vari alimenti, a volte anche in diluizione omeopatica. Secondo il test kinesiologico, il semplice contatto con la pelle del paziente farebbe perdere forza ai muscoli del soggetto nel caso quella fialetta contenesse un alimento non tollerato. Nel caso, invece, dei test elettronici denominati EAV e Vegatest si utilizza una fiala test in un contenitore a base magnetica, collegato con un filo all’apparecchiatura, per alterare la conducibilità della pelle del paziente e, quindi modificarne i valori di impedenza, voltaggio ed amperaggio misurati con un puntale. 
 


LA NOSTRA ESPERIENZA



Tutto quanto affermato finora è frutto di 20 anni di esperienza nel campo della Medicina Biologica, nei quali abbiamo sperimentato tecniche e apparecchiature con lo scopo di migliorare sempre di più il potenziale diagnostico in medicina.
Da sempre nel Centro Medico Broussais utilizziamo la diagnostica elettronica, di cui la metodica EAV (elettro-agopuntura secondo Voll) è l’esempio più famoso; ancora oggi riteniamo che tale diagnostica, se utilizzata solo per effettuare un veloce e rapido screening della distribuzione dell’energia nel corpo, offre grandi vantaggi.

Queste metodiche, al pari di tutte le altre utilizzate, soprattutto se ben utilizzate, possono dare un contributo alla ricerca anche delle intolleranze, ma bisogna utilizzarle con molta deontologia.



COME DIFENDERSI?



Il primo consiglio è di diffidare dei test che diagnosticano più di 2-3 intolleranze, in quanto è proprio l’Ecologia Clinica ad insegnare che le intolleranze, se esistono, sono poche: infatti per diventare “intollerante” ad un alimento bisogna abusarne molto.


Il secondo consiglio, di conseguenza, è di considerare assolutamente inaffidabile qualsiasi test delle intolleranze alimentari che evidenzi uno o più alimenti che il paziente non ha mai mangiato oppure ha mangiato molto raramente. In questi anni ci è capitato perfino di vedere una paziente che, dopo 2-3 mesi di attesa, è stata sottoposta all’esame delle intolleranze alimentari, con Vegatest, da una notissima dottoressa, la quale è stata capace di trovarle ben 94 intolleranze alimentari, tra cui 5-6 alimenti addirittura sconosciuti alla signora. La cosa bella era, poi, che la signora si era sottoposta al test perché voleva dimagrire e la dottoressa stessa era in grande soprappeso, segno che con Lei le intolleranze non avevano funzionato. Di questo test conserviamo la fotocopia fatta dall’originale portato in visione dalla signora e lo pubblichiamo volentieri per aprire gli occhi al lettore.


Il terzo consiglio è quello di non confondere eventuali intolleranze alimentari con il sovrappeso, in quanto le 2 cose sono completamente estranee.


Il quarto consiglio è di diffidare di quegli operatori che dicono ai pazienti di tornare dopo 2-3 mesi per verificare se le intolleranze sussistono o se magari, al posto loro, se ne sia aggiunta qualche altra nuova. Questo perché le intolleranze non cambiano così facilmente e soprattutto non se ne formano facilmente di nuove, a meno che non si sia esagerato molto con un singolo alimento in quei mesi, cosa del tutto improbabile (che, tra l’altro, il medico stesso dovrebbe dire al paziente di evitare).


Infine è importante sapere che gli operatori, a difesa delle intolleranze alimentari così come sono effettuate, vi diranno di pazienti che, dopo il test, sono stati decisamente meglio.


Ciò, però, non dimostra affatto l’affidabilità del test: infatti, se ad un paziente che lamenta alcuni disturbi (stanchezza, mal di testa, colite, acne, ecc.) si consigliasse – senza fargli l’esame delle intolleranze- di eliminare per un paio di mesi alcuni cibi “tossici” come maiale, latte e derivati, cacao, caffè, pomodori, zucchero, è ovvio che quel soggetto ne trarrebbe comunque un vantaggio, ma il miglioramento dei sintomi dipenderebbe solo dalla disintossicazione attuata piuttosto che dall’affidabilità del test.


 

ESISTE UN METODO PIU' INTELLIGENTE E GLOBALE
PER VALUTARE SE UN CIBO FA MALE?



La nostra risposta è: si, esiste un metodo decisamente più evoluto per valutare se un cibo fa male; non ci riferiamo alle semplici intolleranze (per le quali, da quanto detto, la dieta ad esclusione rimane l’unico modo empirico per testarle, in attesa di metodi più affidabili e ripetibili), ma più in generale all’impatto degli alimenti sull’organismo. Qui il discorso diventa complesso e certamente più interessante, ma la cui spiegazione implicherebbe nozioni di Nutrizione Superiore.

In questo contesto possiamo tentare di dare una spiegazione semplice e sintetica su come sia possibile individuare quale debba essere il tipo di alimentazione ideale di un paziente, facendo successivamente qualche interessante esempio clinico.


Oggi la problematica riguardante il settore della Nutrizione ha 2 grandi limiti.


Il primo problema riguarda l’essenza degli alimenti: purtroppo, almeno a livello di medicina convenzionale, spesso ci si ferma alle nozioni “quantizzabili” tipici della scienza dell’alimentazione, come il potere calorico degli alimenti o la loro composizione (zuccheri, grassi, proteine, vitamine, minerali, ecc.). Gli alimenti non sono conosciuti secondo le loro qualità sottili, ma gli esempi clinici successivi daranno ampia dimostrazione di come gli alimenti possano trasformarsi in vera e propria medicina, a patto che se ne conoscano i segreti e si sappiano utilizzare.
Concetti come “polarità magnetica” degli alimenti o legati alla “tipologia ossidativa” o alla loro valenza “calda-fredda-umida-secca” e ad altro ancora sono praticamente sconosciuti alla quasi totalità dei medici.

Il secondo problema riguarda il fatto che, in genere, viene prescritta un’alimentazione a seconda del “credo” del medico che gliela prescrive: in altri termini esistono medici votati ai vari indirizzi nutrizionali (es. dieta a zona, dieta del gruppo sanguigno, dieta dissociata, macrobiotica, mediterranea, vegetariana e così via) e ognuno di loro cercherà di convincere il proprio paziente che quella è la scelta giusta.
In pratica si parte dalla dieta e non dal paziente! Questo è un grave errore perché non si tiene conto della unicità della persona stessa, non se ne valutano la tipologia metabolica, la costituzione, le caratteristiche energetiche.



 NUTRIZIONE SUPERIORE



Lo studio dell'alimentazione secondo i canoni della "Nutrizione Superiore" permette di individuare con facilità il tipo di dieta ideale per ogni singolo individuo.


Ecco, infine, 3 esempi di pazienti che, oltre ad essere stati sottoposti a numerosi test di intolleranze alimentari senza ricavarne alcun beneficio, sono anche stati visitati da decine di specialisti i quali, dopo averli sottoposti ad una miriade di esami clinici (tutti ovviamente negativi), hanno fatto tutti la solita, scontata diagnosi: stress! Grazie ai principi della Nutrizione Superiore essi, dopo 2-3 anni di profondo malessere, hanno ritrovato salute e benessere.


1° caso Nell’ottobre 2001 viene in visita un ragazzo di 24 anni, M.T., lamentando fortissimi dolori addominali che si protraevano giornalmente da due anni, uniti a continue scariche diarroiche quotidiane. Tale condizione lo costringeva a rimanere dentro casa, impedendogli di uscire, se non per peregrinare da un gastroenterologo all’altro. Per colpa di questa strana sindrome il ragazzo aveva anche abbandonato l’università e lo sport (giocatore di hockey di serie A), oltre che la fidanzata. La situazione era allo stremo, anche perché i genitori non sapevano più cosa fare. Il primo giorno fu effettuata un’attenta ed approfondita visita secondo i canoni della Medicina Biologica, ossia un “check-up integrato” che ci diede un preciso quadro “metabolico-funzionale” del giovane paziente. In particolare egli risultò perfetto sotto molti punti di vista, a partire dal check-up funzionale (vedi) fino all’esame dei radicali liberi (vedi); solo all’analisi energetica secondo i canoni della medicina tradizionale cinese emerse che il ragazzo aveva sviluppato un terreno freddo-umido molto profondo, concetto peraltro sconosciuto alla medicina convenzionale ed anche alla gran parte dei medici. Certi che vivesse in un confortevole appartamento, gli chiedemmo come avesse potuto “impregnarsi” di freddo e umidità in modo così forte. Molto sorpreso, il ragazzo rispose di avere sofferto per anni il freddo e l’umido allenandosi d’inverno e all’addiaccio, sul ciglio del Tevere, fino a mezzanotte, peraltro giocando nel ruolo di portiere. A quel punto, la nostra diagnosi ci ha permesso di guarire il ragazzo nell’arco di un mese, utilizzando, oltre a qualche seduta di moxa, solo un netto cambiamento della sua alimentazione secondo i canoni della Nutrizione Superiore.
Oggi, a distanza di 3 anni, egli è in splendida forma fisica.


2° caso T.M., ragazza di 30 anni, venne in visita con vari sintomi: mancanza del ciclo mestruale, una forte astenia, una grave candidosi con molti sintomi correlati (afte ricorrenti, perdite, prurito e altro); in più, appariva estremamente pallida ed emaciata. La ragazza raccontava di essere sempre stata molto bene fino a tre anni prima e di non spiegarsi i motivi del rapido declino della sua salute, nonostante si fosse sottoposta a tutte le analisi possibili. Al check-up integrato cui viene sottoposta emerse una fortissima impregnazione di umidità. A quel punto, la ragazza ci spiegò di essere andata via dalla città proprio tre anni prima e di essersi trasferita in una casa molto umida, costruita in tufo e per giunta senza riscaldamento. Dopo poco tempo erano apparsi i primi fastidi, primo fra tutti la candidosi e, nonostante diversi tentativi di intolleranze alimentari, i sintomi peggioravano sempre di più. Anche in questo caso fu necessario correggere la tipologia metabolica della ragazza che, così come stava il giorno in cui la vedemmo per la prima volta, non era nelle condizioni di digerire alcunché, fosse anche una foglia di insalata, di cui era ghiotta. Anzi ciò che le togliemmo subito fu proprio l’insalata, ma non per le intolleranze, quanto perché essa incideva in modo molto negativo sulla sua tipologia metabolica. Finché non si corregge la tipologia metabolica di un soggetto, specie quando è così compromessa come nel caso della ragazza, non potremo mai sperare di risolvere bene il problema. In questo caso, la totale guarigione della ragazza si è potuta raggiungere, oltre che con appropriate direttive nutrizionali e cure biologiche, anche con un inderogabile cambiamento di residenza.


3° caso E’ il caso di un ragazzo di poco più di 30 anni, il quale era stato convinto dalla fidanzata a tentare le terapie biologiche dopo oltre un anno di inutili tentativi, a partire da varie intolleranze alimentari fino all’uso di svariati farmaci. Egli soffriva di un fortissimo prurito con dermatiti che, come caratteristica saliente, avevano quella di migrare in tutto il corpo in uno stesso giorno. Quando, nel corso del check-up integrato, gli fu chiesto di mostrare la lingua, notammo che essa era tremolante. Per chi è esperto in medicina cinese ciò è estremamente significativo in quanto rappresenta quello che, in gergo, si chiama “vento del fegato”. Il ragazzo, sentendo questa strana diagnosi, chiese all’operatore (che peraltro non era assolutamente al corrente della sintomatologia) di spiegargli un po’ meglio di cosa si parlasse. L’operatore, colto un po’ alla sprovvista e sapendo che non era affatto facile spiegare con lessico convenzionale uno “squilibrio energetico”, preferì dire al paziente direttamente quali potevano essere i sintomi che uno squilibrio del genere poteva causare: si può solo immaginare lo stupore del ragazzo quando si sentì dire che il “vento del fegato” causa forti pruriti e dermatiti che migrano continuamente da una zona all’altra del corpo. Inoltre gli fu detto che un’altra cosa tipica del “vento del fegato” è una netta avversione per il vento: questi soggetti temono moltissimo il vento che dà loro molto fastidio; a quel punto lo stupore del ragazzo aumentò ancora di più perchè, specie negli ultimi 2 anni, il vento gli provocava forte fastidio ed irritabilità. Come sarebbe potuto guarire se avesse continuato a dar retta alle solite, improbabili intolleranze, invece di curare il “vento del fegato”?



SOLO CONOSCENDO IN PROFONDITA’ TUTTE LE BASI DELLA NUTRIZIONE SUPERIORE E’ POSSIBILE DARE A CIASCUNO I CONSIGLI NUTRIZIONALI IDEALI !!!



APPROFONDISCI ALTRI ARGOMENTI

ARTICOLI CORRELATI